Oggi 17 luglio ricorre il World emoji day 2019, la giornata delle popolari “faccine”. Si tratta di una giornata istituita nel 2014, scelta perché è la data che compare sull’emoji che raffigura il calendario. Il creatore del noto segno grafico che ha fatto enorme fortuna sul web è Scott Fahlman, professore di informatica alla Carnegie Mellon University.
Breve storia degli emoji. La consacrazione arriva nel 2016 con l’’ingresso al MoMa. Poi gli Standards Manual – gli editori indipendenti newyorchesi ritenuti un punto di riferimento dalla community di graphic design mondiale –, lanciano su Kickstarter l’acquisto del primo manuale cartaceo interamente dedicato agli Emoji, i famosi caratteri originari per chattare col telefono. A questo punto, mentre già qualcuno parla di Nobel, il mondo prende definitivamente coscienza che gli Emoji sfondano un altro traguardo e diventano la nuova milestone del design 3.0, acclarati come lo strumento di comunicazione di massa più dirompente degli ultimi anni.
Il libro celebra il set dei primi 176 Emoji (in realtà diverso dalle faccine emoticon che oggi usiamo sui nostri smartphone) creato nel 1998-99 dall’allora 25enne designer giapponese Shigetaka Kurita, su commissione della più grande compagnia telefonia giapponese, la NTT DOCOMO, come servizio per i messaggini di testo: oggi, rivedendo quella serie originaria di geroglifici dai tratti naif per non dire rozzi – il regalo, il sole, la scarpa coi tacchi, il pallone, il cuore, la freccia… – inseriti nella griglia di 12X12 pixel richiesta dal protocollo di comunicazione, sembra quasi di vedere dei pittogrammi preistorici ma, come ricorda Paul Galloway, il curatore del MoMa che li ha voluti nella collezione permanente, “gli ingenui e gioiosi Emojy di Kurita erano i semi di una nuova, globale, forma di comunicazione”. E anche se oggi, che sono ormai più di 1.000 e molto più aggraziati e user friendly di allora, dilagati nel frattempo grazie allo standard Unicode negli smartphone e nei pc di tutto il mondo, all’epoca della loro creazione Kurita non aveva la minima idea che il passo che stava per compiere era un po’ quello di Armstrong sulla luna, usando una provocatoria (ma non troppo) metafora avveniristica: “Alla base degli Emojy c’è il pittogramma, in Giappone usato come segno in molti luoghi pubblici come le stazioni, ma anche il Manga, che usa la grafica per comunicare le emozioni, e infine lo stile dei magazine giapponesi”, spiega l’autore. Quella che era quindi solo una creazione pensata per i primi clienti di telefonia mobile nipponica, che volevano strumenti per comunicare emozioni e stati d’animo più facilmente e senza le parole, venne studiata dalla Apple che la lanciò implementata sul mercato giapponese poco dopo la nascita dei primi iPhone.
In breve tempo, grazie all’Unicode, la tribù degli Emoji crebbe continuamente, arrivarono gli emoticon e il suo papà salutò con stupore l’evento, non realizzando per nulla che di lì a poco, il fenomeno sarebbe diventato planetario e inarrestabile. Il doppio riconoscimento, MoMa e Standards Manual, è dunque l’occasione per ripercorrere l’invenzione “involontaria” di Kurita, che tutto si sarebbe aspettato tranne che sbarcare nella più famosa collezione di design del pianeta.
E tanto meno di diventare la parola dell’anno (2015) per il dizionario Oxford: Emoji significa infatti “scrittura per immagini” e la mossa inglese è stata la prima che ha consacrato l’importanza del design per l’umanità intera. Secondo i due fondatori di Standards, Jesse Reed & Hamish Smyth, “la storia del graphic design è costellata da capolavori involontari come il set di Emoji di Kurita, e la disamina attenta di come e perché questi sia diventato così dirompente per l’umanità spiega bene il potere del design nel rimodellare i comportamenti e gli stili di vita dell’umanità”.
A ben vedere, Reed & Smyth stanno riproponendo la prima operazione con cui nel 2014 hanno fondato la loro casa editrice, diventata un cult in pochissimo tempo e proprio grazie a quella scommessa: la stampa del manuale operativo della metropolitana di New York creato da Bob Noorda e dal suo partner Massimo Vignelli.
Correva l’anno 1970 e i due creativi rivoluzionarono ex novo la manualistica tecnica introducendo uno stile visuale che avrebbe fatto scuola. Reed & Smyth dopo averne ricavato un sito, nel 2014 hanno messo insieme tutte le tavole originali e le hanno date alle stampe in un manuale cartaceo lanciato proprio su Kickstarter.
Dopo il successo dell’operazione NYCTA (bissata dal manuale di operations NASA, poco dopo), oggi i due soci Standards ci riprovano proponendo sulla piattaforma il manuale con il set originale di Emojy di Kurita:
preordinando il manuale a 75 dollari, si riceva anche la app e una tastiera per pc con tutti i 176 caratteri originali, che potranno essere usati in occidente in forma completa per la prima volta.
La dead line è ai primi di giugno e la consegna è prevista per ottobre 2018: anche se ogni acquisto su Kickstarter racchiude il rischio che l’oggetto non venga mai alla luce, il successo delle precedenti operazioni targate Standards, e l’andamento dei primi giorni di vendita, autorizza un più che cauto ottimismo, visto che ci si porterebbe a casa il primo e originale manuale col set di caratteri che hanno sconvolto la comunicazione dell’umanità digitale.